Una volta “degli Upezzinghi” adesso comunemente Torre o Torretta, si erge sulla sommità di una collina, estrema propaggine sud-ovest dei monti, per metà erosa da una cava, sovrasta e caratterizza fortemente l’abitato di Caprona tant’è che viene chiamata “Torretta di Caprona” ed è visibile da una discreta distanza.
Ne scrive Dante Alighieri nel XXI canto dell’inferno della divina commedia vv. 94-96, con riferimento ad un episodio svoltosi alla fine di una battaglia tra l’esercito guelfo fiorentino e le truppe ghibelline della Repubblica Pisana, a cui lui stesso era presente il 16 agosto 1289, si racconta in veste di cavaliere, nel quale trova un’assonanza a ripensare i ghibellini sconfitti uscire dal castello tra le schiere dei vincitori:
così vid’ïo già temer li fanti ch’uscivan patteggiati di Caprona, veggendo sé tra nemici cotanti.
Riferendosi alla paura vista nei soldati Pisani arresi uscenti dal castello tra schiere di nemici e dubitanti del, di questi ultimi, mantenimento del patto di resa, come nel suo poema lui ha paura che i diavoli si rimangino la parola data ovvero di far passare, lui e Virgilio.
La ormai fatiscente Torre che si vede oggi non è più quella veduta da Dante, ma molto probabilmente è solo testimone della passata presenza dell’importante castello di Caprona, assistita da una torre ad Uliveto nella sua funzione d’avvistamento entrambi facenti parte del sistema difensivo del quale vi è parte anche la Fortezza della Verruca, dal momento che per la sua posizione, dominava la stretta riva destra dell’Arno alla confluenza dello Zambra, e la viabilità che andava nella pianura pisana, e ancora oggi porta a Calci. L’antico sottostante castello di Caprona, venne infatti smantellato nel 1433 dai Fiorentini, dopo che si erano impadroniti di Pisa.