La Natura dei Monti Pisani

I Monti Pisani (adesso comunemente cosi chiamati ma il nome corretto sarebbe “Monte Pisano sono situati fra Lucca e Pisa, il territorio da loro occupato è di forma vagamente ovale allungata, e si estende da N/O a S/E, per una lunghezza complessiva di 20 km ed una larghezza di 10 km, con una superficie di 15200 ettari circa.

Nel gruppo distinguiamo per altezza il monte Serra 917 mt, lo Spuntone di Santallago 870 mt e il monte Faeta 831 mt, il monte Pruno 876 mt, il monte Verruca 537 mt che si ergono a ventaglio formando una vallata rivolta a sud, detta “Valgraziosa”.
Altri monti di minor altezza sono il monte Romagna 511 mt, il monte Moriglion di penna 541 mt, il monte Cupola 439 mt. Sotto il nome Monti Pisani si fanno rientrare anche i bassi rilievi vecchianesi, che però sono separati dal gruppo principale dal corso del fiume Serchio e dalla circostante esigua pianura.

pino dei Monti Pisani
Nel gruppo esistono vari tipi di ambienti e conseguentemente di habitat diversi dati dalla diversa esposizione al sole durante la giornata, dalla parte Lucchese a N/E, troviamo un sottobosco ed un microclima più umido, invece dalla parte Pisana a S/O, influenzata anche dalla vicinanza del mare abbiamo un ambiente più assolato e secco.
Nelle zone di bassa quota di tutta la catena montuosa si trovano diffusi i vigneti, poi si passa ai terrazzamenti di olivi, e nelle quote più alte si trovano estesi : castagneti, cedui di faggio e di quercia, alternati ad estese pinete.
Nonostante negli ultimi decenni sia aumentato il numero dei violenti e devastanti incendi che piagano la natura, dei quali, ancora ne vediamo i segni, il gruppo conserva ancora immutato il suo grande valore ambientale.
E’ presente una piccola zona di pino Laricio, della quale non è stata ancora capita l’origine. Forse sono dei piccoli frammenti di epoche lontane, in cui la specie era più diffusa.

strappabrache

L’azione continua dell’uomo ha modificato e variegato il complesso vegetazionale del comprensorio dei Monti Pisani.
Questa azione modificatrice è iniziata sin dall’inizio dell’era Quaternaria, quando i Monti Pisani erano per lo più occupati da fitocenosi a dominanza di leccio e di farnie nelle zone più termofile, per lasciare posto ai complessi boschivi di caducifoglie nelle zone più mesofile.
Attualmente gli ambienti caratteristici del comprensorio risultano caratterizzati da una copertura vegetazionale rappresentata a seconda del grado di occupazione umana da boschi o garighe di sclerofille (a dominanza di leccio, Quercus ilex, boschi a castagno, pinete a pino marittimo, boschi misti di latifoglie, aree sottoposte a orticoltura e zone destinate a vigneti e oliveti.
dafne dalle bacche tossiche Mentre le aree occupate da boschi di leccio sono estremamente ridotte e spesso costituite ormai per lo più da individui ridotti a cespugli o comunque di ridotte dimensioni, più estese in zone a rocce calcaree (prevalentemente sul versante meridionale del comprensorio) sono le garighe.
Di aspetto assai brullo, queste formazioni vegetazionali hanno sostituto i precedenti complessi boschivi a sclerofille (come le leccete, appunto) a seguito di fenomeni di successione ecologica, spesso dopo ripetuti incendi boschivi.
Sul versante lucchese del comprensorio si rinvengono boschi di castagno da frutto estesi in aree più fresche e piovose e ben noti a quanti vi accedono per la raccolta di castagne nel periodo autunnale: qui si ha un esempio della maggiore diversità strutturale dovuta alla presenza di alberi di dimensioni anche ragguardevoli e perciò di nicchie ecologiche del tutto diverse da quelle presenti nelle garighe del versante pisano.
Tra le zone coltivate sono da segnalare gli oliveti, appezzamenti di seminati e terreni adibiti all’orticoltura, spesso situati negli immediati dintorni delle abitazioni umane, sparse in molti punti soprattutto del versante pisano.
La creazione di questi ambienti è avvenuta per lo più a spese dei boschi di leccio, presenti soprattutto sui versanti esposti a Sud e al sole.

La lecceta

La lecceta risulta in quest’area -dove ancora esiste-, frequentemente costituita da alberi di medie dimensioni o individui a portamento cespuglioso che si strutturano in piccoli boschi o estese macchie assai differenziate in relazione ai luoghi, con presenza di altre specie arboree, nel sottobosco sono presenti edera, ciclamini, rusco, etc.
Qua e là s’incontrano spazi aperti nei quali s’insediano numerose specie arbustive ed erbacee che poi si troveranno abbondanti nei settori maggiormente assolati e con terreno più ricco di scheletro; ricordiamo i cisti, le ginestre e le euforbie.
Questo tipo di vegetazione è composto principalmente da sclerofille sempreverdi, cioè piante che hanno adottato meccanismi di adattamento atti a ridurre il più possibile le perdite d’acqua per traspirazione e a sfruttare al massimo le risorse idriche del substrato, che nel periodo estivo risultano estremamente scarse, talvolta anche in quello invernale.
lecceta
Il leccio è qui associato ad altre specie arboree sia decidue, come l’orniello (Fraxinus ornus) o il carpino nero (Ostrya carpinifolia) che sempreverdi come il cipresso (Cupressus sempervirens) o la quercia da sughero (Quercus suber, Quercus morisii).
Nel sottobosco sono presenti specie arbustive ed erbacee tra cui la strappabrache (Smilax aspera), l’edera (Hedera helix), i ciclamini (Cyclamen repandum, Cyclamen hederifolium) e il pungitopo (Ruscus aculeatus).
Dove la lecceta si dirada fino a formare spazi aperti, si insediano specie arbustive come le eriche Erica arborea, Erica scoparia), i cisti (Cistus salvifolius, Cistus monspeliensis), le euforbie (Euphorbia characias), le ginestre (Spartium junceum, Cytisus villosus) e il ginestrone (Ulex europaeus).

particolare del sughero

Di notevole interesse storico e paesaggistico è la presenza delle querce da sughero che possono essere osservate sia in singoli esemplari che in gruppi numerosi, a formare boschi anche con piante di notevoli dimensioni.
Le cenosi a Quercus suber L., considerate come stadi dinamici della lecceta o come stadi durevoli senza possibilità di evoluzione a causa di ripetuti incendi, si instaurano in zone in pendenza, su substrato in prevalenza siliceo, su terreni poco profondi.
La quercia a sughero, specie spiccatamente silicicola, rispetto al leccio che si adatta a diversi substrati geologici, colonizza meglio di questo ambienti fortemente degradati.
I presupposti per lo sviluppo e il mantenimento di questa cenosi sono legati sia agli incendi che spesso qui si verificano e che sono responsabili di un’accentuata degradazione del bosco di leccio, con conseguente impoverimento del suolo, che alla natura geologica del substrato e alle condizioni climatiche.
Sul versante occidentale del Monte Pisano, prevalentemente nella zona posta tra San Giuliano e Asciano, si ritrovano poi diversi individui di leccio sughera, nei secoli passati probabilmente erano più numerosi e si presentavano con esemplari di dimensioni notevoli.
A questo proposito giova ricordare che nella biblioteca del Dipartimento di Scienze Botaniche dell’Università di Pisa si conserva un tavolo il cui piano è ricavato interamente da una sezione trasversale di un fusto di tale albero. Questo leccio sughera proveniente dalle colline di Riparbella, morì nel 1886 perché decrepita. Su un foglietto che appare incollato sotto il tavolo stesso appaiono tra l’altro queste parole manoscritte “… la pianta doveva essere davvero colossale…dal tronco e dai rami di essa furono ricavati centouno ceppi di aratro e circa dieci tonnellate di carbone.

La Gariga

Nell’area dell’ANPIL Monte Castellare è presente e possibile ammirare un’estesa gariga che nonostante l’aspetto apparentemente desolato, accoglie numerose e peculiari entità floristiche e micologiche. La gariga è un’associazione vegetale tipica di suoli calcarei e rocciosi che deriva da una degradazione dell’originaria macchia mediterranea. Si tratta di una vegetazione più o meno aperta, formata da sparsi arbusti sempreverdi, suffrutici (a portamento basso) e numerose specie erbacee. La cenosi è il risultato di ripetuti incendi e pascoli intensivi (un tempo) connessi soprattutto all’intenso flusso antropico nell’area del Passo di Dante, a cavallo tra la provincia di Lucca e quella di Pisa.

l’ambiente di gariga

La presenza di micromeria (Micromeria graeca), di euforbie quali Euphorbia characias e Euphorbia spinosa che in primavera con la sua gialla fioritura caratterizza il paesaggio, di timo (Thymus vulgaris), di camedri (Teucrium chamaedrys, T. flavum, T. polium), di santoreggia (Satureja montana), si associa a quella delle orchidee, rappresentative dell’intero areale del Monte Pisano, ma che qui assumono particolare rilevanza per specie significative da un punto di vista fitogeografico.

Le Orchidee

Le orchidee hanno una diffusione mondiale e rappresentano uno stadio avanzato dell’evoluzione. Il loro nome comune deriva da uno dei generi di cui questa famiglia è composta (Orchis). La maggior parte di queste piante (oltre 25.000 specie) vivono nelle foreste tropicali sopra gli alberi. In Italia invece, in natura, sono presenti solo specie terricole (circa 120).
Nel monte Pisano possiamo osservare quasi una cinquantina di entità, tra specie e ibridi (gli ibridi sono incroci fra individui di varietà o di specie diverse), alcune delle quali abbastanza rare.
Durante recenti ricerche effettuate nell’ANPIL Monte Castellare, è stata individuata buona parte delle specie segnalate in passato ed alcune , di nuova conoscenza, che erano comunque presenti nelle aree contermini. orchidee in gariga
Si ricorda che le orchidee sono piante protette da leggi regionali e ne è vietata la raccolta.
La parte più appariscente della pianta è costituita dall’infiorescenza che è situata nella parte superiore di uno scapo (non ramificato) prodotto da un bulbo (o tubero) sotterraneo.
L’infiorescenza ha la forma di una “spiga” con un numero variabile di fiori da 3-5 fino a più di 60.
A seconda della specie, la loro dimensione (altezza) può variare da pochi centimetri (3-5) fino a 70-80 cm. Nell’ANPIL il periodo in cui è possibile osservare la maggior parte delle orchidee presenti, in fioritura, è marzo-aprile.
E’ in questo periodo infatti che qui abbiamo la presenza degli insetti che sono necessari per l’impollinazione.
Come sappiamo le orchidee si riproducono anche in modo agamico, cioè la pianta produce dei tuberi che a maturità si separano dalla stessa.
In alcuni casi la pianta, per la mancanza degli insetti impollinatori, può autoimpollinarsi, ed evitare così un’eventuale estinzione.
Tra le varietà presenti si ricordano: Ophrys speculum, O sphecodes subsp. Litigiosa, O. sphecodes subsp. Garganica, O. sphecodes subsp janpertii, Orchis morio e Serapias parviflora.
Di particolare interesse anche la presenza di cisto (Cistus salvifolius e C. monspeliensis) e di alcuni macromiceti ad esso collegati come: Lactarius cistophilus, L. tesquorum, Hygrophorus pseudodiscoideus var. cistophilus e Russola cistoadelpha.

La vegetazione ripariale

Lungo i piccoli e medi corsi d’acqua che scendono e lambiscono i piedi del Monte Pisano, il microclima umido e fresco consente lo sviluppo di una vegetazione particolare di alberi e arbusti a foglie decidue.
L’ontano nero caratterizza queste comunità vegetali e costituisce una superficie significativa della copertura arborea.
Tra le specie che più si adattano a vivere in questo habitat vi sono l’orniello, l’agrifoglio, il nocciolo, la frangola.
Nella parte alta del torrente Zambra è presente anche una stazione con alcuni esemplari di pioppo tremulo, come anche la felce florida specie relitta, a testimonianza di un lontano passato quando il clima era più caldo.
Numerose anche altre felci tra cui gli aspleni e il capelvenere.
Tra gli arbusti, particolarmente diffusi si possono trovare il sambuco ed il corniolo.
Frequenti anche l’edera e la vitalba dal caratteristico portamento lianoso.
Di notevole interesse fitogeografico la presenza della periploca, liana tipica di climi più caldi e solitamente diffusa nelle aree costiere.

Fra le specie  maggiormente utilizzate soprattutto in passato per il sostentamento anche alimentare vi sono due alberi che hanno offerto un notevole aiuto agli abitanti del tempo da ricordare di cui dobbiamo fare una doverosa menzione.

L’olivo

La coltivazione dell’olivo nel territorio del Monte Pisano era già largamente sviluppata in epoca romana; tale attività continuò anche nel medioevo e la sua importanza è testimoniata dalla ricchezza di indicazioni contenute in antiche scritture.
Nel XVIII secolo l’attività oleicola si sviluppò notevolmente ad Asciano ed Agnano, nel lungomonte di Rigoli e Corliano e intorno alle ville dei grandi proprietari terrieri.
In questo periodo Asciano basava la propria economia su questa attività e per incrementarne lo sviluppo fu necessario ridurre al terrazzamento ampie zone del territorio; il “terrazziere” sistemava terreni con forte pendenza effettuando ripiani o terrazze sostenuti da muretti a secco o scarpate erbose.
Ancora oggi è possibile osservare questo tipo di sistemazione nelle ANPIL del Monte Castellare e della Valle delle Fonti.
L’olivo ha man mano sostituito, nei versanti esposti al sole, il bosco di lecci e qui, come nella fascia più bassa di tutto il Monte Pisano, perché anche se le parti meridionali del monte si eleggono a ambienti particolarmente idonei all’olivocultura, anche nel resto di tutto il monte, grazie al clima tutto sommato eterogeneo, si è diffusa questa risorsa, anche nella parte lucchese, tanto che facendo un giro intorno ai monti Pisani in poche parti troveremo dei terreni senza colture a olivo, andando così a costituire uno degli elementi più caratterizzanti del paesaggio.
Dalle olive raccolte in quest’area e frante con tecniche attente a mantenere le proprietà del pregiato succo, si estrae un olio pregiato per la scarsa acidità e le particolari caratteristiche organolettiche.
Purtroppo dagli anni ottanta del secolo scorso assistiamo ad un lento e progressivo abbandono di queste coltivazioni, per motivi di cambio dello stile di vita e allontanamento dal monte e dalle lavorazioni agricole e selvicole.

Il castagno: distribuzione geografica ed esigenze pedoclimatiche

Il castagno una specia tipica delle regioni temperate dell’Europa ed in particolare del bacino mediterraneo.
In Italia il castagno è autoctono (spontaneo) e diffuso in tutta la penisola, dal piano collinare a quello montano, da circa 200 mt fino a 1200 mt s.l.m. L’areale di distribuzione naturale del castagno è situato nell’Europa Sud-Orientale, mentre nella penisola iberica, in Francia e nella Gran Bretagna la presenza di questa specie è di chiara introduzione antropica.
In Italia il castagneto occupa circa 800.000 ettari, pari a 1/7 della superficie boschiva totale.
Le regioni in cui il castagno è più presente sono la Calabria, il Piemonte, la Campania e la Toscana.
L’importanza di questa specie, in relazione al suo ampio areale naturale, è sottolineato dal termine Castanetum per indicare la zona fitoclimatica – caratterizzata da una vegetazione forestale costituita principalmente da querce caducifoglie e dal castagno – incuneata fra il Lauretum e il Fagetum.
E’ una specie mesofila che predilige un’esposizione a N-NE, con temperature medie annue fra 8-15°C – sopportando bene le basse temperature fino a -20°C – e che trova in un pH del suolo non superiore a 6,5 unità l’optimum di crescita.
Alligna di preferenza nei terreni silicei, mentre disdegna quelli calcarei.

Il castagno: aspetti botanici

Il nome scientifico di questa pianta è Castanea sativa Miller.
Etimologicamente il termine castanea deriva dal greco Castana, città dell’antica tessaglia, fertile terra di castagneti; mentre il vocabolo sativa è la contrazione latina di seminativum, ossia che si può seminare, coltivare.
Questa specie appartiene alla famiglia delle Fagaceae, nell’ambito della quale troviamo anche le querce (Quercus) e il faggio (Fagus).
Si tratta di un maestoso albero, dalla chioma espansa ed imponente, che nel pieno del suo sviluppo può raggiungere un’altezza di 30 mt ed un diametro anche superiore a 2 mt. La radice è fittonante e si ancora tenacemente al terreno mediante varie ramificazioni laterali.
Il tronco, robusto e possente, ha la corteccia di colore bruno-grigiastro, lucida e tende a screpolarsi con il passare degli anni.
Le foglie sono caduche ed inserite sui rami in modo alterno; hanno un corto picciolo ed una lamina di forma lanceolata – lunga 8-20 cm e larga 3-6 cm -, a margine seghettato ed apice acuminato.
castagno La loro consistenza è piuttosto tenace, quasi coriacea. La pagina superiore è di colore verde intenso, mentre più scura è quella inferiore.
Il castagno è una specie monoica, con fiori maschili (staminiferi) e fiori femminili (pistilliferi) portati sulla stessa pianta, ma in infiorescenze separate.
I fiori maschili -semplici, piccoli, gialli e costituiti da numerosi stami- sono raggruppati in lunghi amenti eretti (10-20cm). I fiori femminili –anch’essi piccoli e di color giallo, formati da 6 pistilli con 3 stigmi ognuno- sono solitari o aggregati in numero di 2-7 alla base delle infiorescenze maschili, avvolti da un involucro verde detto cupola che dopo la fruttificazione si trasforma nel riccio.
I fiori sono mediamente profumati. L’impollinazione avviene per mezzo degli insetti (impollinazione entomofila), grazie alle api, farfalle, ditteri e coleotteri.
I semi nel numero da 1-3 sono contenuti in una capsula pungente (riccio) che a maturità si apre attraverso 4 valve. Le castagne sono di forma più tondeggiante o appiattita, con un tegumento (buccia) cuoioso, di colore bruno –marrone, lucido con all’apice un ciuffetto di peli (vestigia fiorale); all’interno della castagna si trova un singolo seme edule.
La raccolta avviene in autunno: i frutti maturi cadono per terra da soli senza bisogno di “disturbare” la pianta con la bacchiatura.
I castagni coltivati per la produzione del frutto vengono innestati mentre il castagno selvatico è impiegato come ottimo impollinatore.
Il castagno è un albero assai longevo e per alcuni esemplari si può addirittura ipotizzare i 1000 anni di età: in Toscana, specialmente in Lucchesia, sono presenti vari alberi monumentali; a titolo esemplificativo ricordiamo il noto “Castagno di Annibale” (alto circa 7 mt e una circonferenza di 9) in località Barga, che secondo la leggenda il celebre generale cartaginese, nella traversata dell’appennino, lo utilizzo per legarvi il suo elefante stanco per il lungo viaggio.
Numerose sono le varietà di castagno coltivate e selezionate nel tempo in relazione a specifiche caratteristiche di qualità e di produttività.
Da un punto di vista qualitativo il gruppo più conosciuto è la cultivar “il Marrone” che si distingue dalle normali castagne soprattutto per le maggiori dimensioni e per il sapore generalmente più dolce. Sui Monti Pisani la varietà più diffusa è la “Carpinese”.
Qui di seguito ne descriviamo le caratteristiche più salienti.

Il castagno: aspetti di selvicultura

Il castagno viene coltivato principalmente per i frutti –destinati al consumo fresco o alla produzione di farina- o per il suo legname.
Il castagneto da frutto, la vera selva, prevede un numero di piante variabile fra le 70 alle 120 per ettaro. Le specie coltivate sono tutte innestate, mentre i selvatici servono esclusivamente per migliorare l’impollinazione. Le cure colturali prevedono diverse operazioni come la potatura, la concimazione individuale, il rinfoltimento e la ripulitura del terreno sottostante, avendo cura di eliminare le specie arbustive competitive. Il ceduo di castagno serve a produrre non solo legna da ardere, ma soprattutto legname da lavorazione come paleria agricola e da costruzione. Il turno del ceduo dipende sia dal grado di fertilità del suolo che dall’indirizzo commerciale del prodotto; nella produzione di paleria sottile il turno previsto è breve, 12-16 anni, mentre per ottenere una paleria grande è indicato un turno di 18-24 anni o più. I rami pollonanti di 2-4 anni sono usati nella preparazione di manufatti artigianali, mediante la tecnica dell’intreccio, per fabbricare tipici cesti, stuoie, corbelli e similari, Dal tronco e dalle foglie dei castagni si ricava un ottimo terriccio, molto ricercato in giardinaggio, per le piante acidofile come i rododendri, le azalee, le camelie e altre. ricci di castagne

I patogeni del castagno

Tra i principali patogeni ricordiamo il mal d’inchiostro: un’affezione crittogamica il cui agente eziologico è da ricercare in Phytophtora cambivora (Petri) Buism. La penetrazione del micelio parassita avviene attraverso ferite a livello del colletto della pianta o alla base delle grosse radici e da qui invade tutti i tessuti producendo un trasudo nerastro che occlude i vasi linfatici, Questo inizialmente provoca il dissecco degli apici vegetativi e successivamente delle foglie, portando nel giro di pochi anni alla morte dell’albero. Contro tale malattia non esistono efficaci rimedi, tranne che, se diagnosticata precocemente, intervenire con energiche potature e capitozzature al fine di ridurre la chioma per stimolare l’apparato ipogeo a produrre nuovi elementi radicali. Inoltre risultano importanti gli interventi mirati a migliorare il drenaggio del suolo, per evitare ristagni idrici. Ancora più temibile è il cancro corticale provocato dall’ascomicete Cryphonectria (Endothia) parasitica (Murr.) Barr. Questo patogeno è di origine americana e fu segnalato per la prima volta in Europa nel 1938 circa. Il fungo penetra nei rami e nei polloni attraverso ferite di varia natura, anche piccoli traumi superficiali provocati dal vento o dalla grandine; da qui il micelio si espande sulla corteccia provocando titpiche lesioni con bordi ingrossati ed aree centrali depresse, di colorazione rossastra, che si fessurano profondamente. Ovviamente tutta la parte al di sopra del cancro rapidamente muore. Per evitare il contagio bisogna provvedere alla distruzione, mediante l’uso del fuoco, delle piante malate, cercando di disperdere il meno possibile del materiale infetto nell’ambiente circostante.

Note etnobotaniche sul castagno in Toscana

Ricordiamo che l’etnobotanica è una disciplina, una botanica applicata, che si prefigge il compito di studiare e di censire (in un dato territorio) le tradizioni ed usi popolari legati alle piante.

Usi artigianali: i polloni vengono riscaldati sul fuoco e successivamente tagliati a strisce sottili per realizzare cesti di varia fattura ed in particolar modo i cosiddetti “corbelli”

Usi tintori: nel Mugello (Firenze), gli epicarpi dei frutti, ossia le “bucce”, uniti alle foglie sono usate nella preparazione di un decotto assai denso che una volta filtrato è adoperato per colorare di bruno le stoffe; lo stesso preparato è altresì usato come mordente per scurire il legno.

Usi medicinali: in Garfagnana (Lucca), il decotto della corteccia è usato in impacchi o in bagni per curare varie affezioni dermatologiche, e soprattutto le dermatiti di origine allergica. Nell’arcipelago Toscano, i frutti cotti alla brace uniti a miele e succo di limone forniscono un efficace preparato da ingerire in corso di dissenteria. Nel Massese, le foglie fresche e contuse sono applicate sulle piaghe per diminuirne l’essudazione e per stimolarne la cicatrizzazione. In Versilia la polvere del legno di castagno, prodotta dai tarli, viene aspersa sulla cute del bambino in presenza di irritazione da pannolino. Un’ultima interessante nota sul castagno è stata censita in Garfagnana, dove dai legni marcescenti di questi alberi si raccoglie la cosiddetta “muffa bianca”, ossia il feltro miceliare di un fungo appartenente al genere Fomes, e lo si applica localmente come valido cicatrizzante ed antisettico sulle ferite.

Usi alimentari: i semi di questo albero hanno costituito per anni l’alimentazione principale di molte “genti Toscane”, soprattutto di quelle stanziate in montagna; ancora oggi le castagne si consumano in vario modo –spesso rifacendosi ad antiche ricette locali; con la farina, ottenuta macinando le castagne secche si preparano: i necci, farinata, polenta, castagnaccio, frittelle, (in garfagnana con le secche intere si preparano le tullore) e altre preparazioni ancora; le castagne fresche si possono arrostire, diventando dolci caldarroste o ballotte dopo lessatura in acqua leggermente salata con l’aggiunta di foglie d’alloro. Il castagno era chiamato “l’albero del pane”

Usi cosmetici: in Garfagnana, il decotto delle bucce dei frutti con alcune foglie di alloro è adoperato per risciacquare i capelli scuri, al fine di ottenere delicati riflessi ramati.

Usi magici: a Pruno e a Volegno (Lucca) per attenuare i dolori intercostali viene tenuto un rametto di castagno in bocca; a Popiglio (Pistoia) lo stesso procedimento è adottato contro il singhiozzo e per calmare i dolori di milza dovuti ad uno sforzo. In Garfagnana intorno a questa pianta, si sono create numerose leggende che la identificano come spirito benigno, generoso, dimora dei “buffardelli”, bizzarri folletti dispettosi.

Note: in Versilia collinare e montana, il carbone di castagno è usato in vario modo: per temprare l’acciaio e il ferro, per assorbire l’acidità della grappa fatta in casa e come costituente delle polvere pirica. Sempre in questo territorio, il materiale ricavato dalla ripulitura dei vecchi castagni marcescenti, dialettalmente detto “tufone” è utilizzato come ottimo concime da giardinaggio (terriccio per acidofile).
In Garfagnana, le foglie sono usate per tappezzare i cesti per la raccolta dei funghi, le stesse venivano raccolte in lunghe corone ed usate all’occorrenza per preparare i necci. Le ceneri del legno di castagno sono cosparse a doppio anello intorno ai fusti delle piante per tenere lontane le formiche.