Correva l’anno 1496. I Pisani ricevevano nuovi rinforzi da Milano e da Venezia mentre i Fiorentini – che avevano già occupato il borgo di Buti – si accingevano ad assediare la rocca della Verruca che ancora teneva forte.
Per far questo le forze assedianti avevano necessità di costruire bastioni di difesa per controllare le via di accesso alla rocca stessa.
Il bastione costruito «sul monte della Dolorosa» si trovava sulla cima che sovrasta «il Sasso»; era un terrapieno a pianta pressoché triangolare i cui lati davano su Calci, Buti e Verruca-Vicopisano.
Al centro doveva trovarsi una casamatta o per lo meno una costruzione con tetto in cotto, ai tre vertici si trovavano piccoli fortini più adatti all’uso di vedette che per il combattimento. [1]
La fortificazione, tuttavia, non giovò agli scopi degli assedianti tant’è che nel mese di Aprile questi dovettero subire una importante sconfitta a seguito della quale furono costretti a togliere l’assedio alla Verruca.
Ad 6 e 7 di detto, tutta la gente de’ Pisani e di Veneziani e duca di Milano vanno a Cascina, appié e a cavallo, col capitano Malvesso da Bologna […] e ad 8 d’aprile ditto, un’ora innansi dì, le gente de’ Pisani e li altri assaltarono le genti d’armi di Fiorentini nel borgo di Buti e ruppeli: e fuvene morti da li Alamani e Franciosi, soldati della lega de’ Pisani, circa omini quaranta d’arme, e presi circa cavalli dugento […] e di molti omini d’arme prigioni. [2] Anche nell’estate del 1498 il monte fu ancora teatro di una sanguinosa battaglia sferrata dai Fiorentini capeggiati dal solito Paolo Vitelli.
Il campo si levò da Calcinaia ad dì 20 d’agosto et andonne a Buti, et prima il capitano mandò a pigliare i monti, et fabbricò un bastione in su Pietra Dolorosa. [3]
Da dove abbia avuto origine tale oronimo è difficile dirsi con esattezza.
Due sono le interpretazioni che vengono proposte: una è legata alla natura del terreno che per l’asprezza sua si chiama Doloroso (ab asperitate Doloroso nomen est) [4] mentre l’altra è legata ai fatti d’arme che vi si svolsero nel 1496 quando i Fiorentini per tentare di prendere la Rocca della Verruca avevano riconquistato l’Abbadia di S. Michele che nel frattempo era stata ripresa dai soldati italiani e alemanni al servizio di Pisa. [5]
Tali combattimenti furono così cruenti che la valle presso la quale gli Alemanni dettero battaglia fu detta «dolorosa» per la strage fattavi da loro dei nemici” [6] (edita strage multorum, quo vallis dolorosa dicitur). [7]
A questo proposito il Pelosini aggiunge come «i più vecchi montanari da lui conosciuti in sua gioventù, e quindi nati nel XVIII secolo, narrassero «esser lontana fama che, in una di quelle crudeli avvisaglie, il sangue d’ambe le parti così largamente si versasse, che dai corpi ammucchiati sull’altura scorresse convertito in orrendo rigagnolo giù per l’erta inverso S. Iacopo, per una buona metà del monte; i cui sassi sarebbero stati per qualche tempo colorati di rosso per quello scempio». [8]
Il luogo si presenta ancor più affascinante perché, dal popolo, era ed è considerato originariamente un vulcano.
Ed è ancora il racconto di un butese, nel suo caratteristico vernacolo, a dirci quale era la credenza.
Questa der vurcano ‘nduve cci si chiama la Dolorósa è una còsa sentita dì: nói si sentiva di dda’ più vecchi, quell’artri da quélli più vvecchi e vvia, che anticaménte, dicévano, in cima c’era sto vurcano e ppoi quéste piètre che òra ci sono fósse stata lava di quésto vulcano, e ‘r Sasseto sarébbe la lava di quésto vulcano. [9]
Accanto al motivo dei sassi (o delle acque) indelebilmente macchiate di sangue troviamo associato alle battaglie della Dolorosa anche un altro motivo ’meraviglioso’ della fitta nebbia che avrebbe avvolto i combattenti [10] tra i quali, accanto ai Fiorentini compare anche il lucchese Castruccio Castracani.
Ma sentiamo ancora una testimonianza popolare.
Perché, ddice, ci fu una gram battaglia, ci fu una gram battaglia e cci pèrseno tanti soldati, e allòra ni mìsero ’r nóme délla Dolorósa: ci fu ’na sconfitta perché vVerru·a fu pprésa da Castruccio Castrahani una mattina di maggio che cc’èra la nébbia, èrano assediati déntro e allóra aprofittó ddéla nébbia e entró ’n Verruha, arméno ’r mi’ nònno me la raccontava così. [11]
È facile comprendere, allora, come gli avvenimenti accennati siano entrati a viva forza nell’immaginario collettivo che, anche a dispetto della verità storica, ha popolato i luoghi ed i fatti ivi realmente accaduti di immagini misteriose e suggestive – tipiche della fantasia popolare – che si ritrovano anche in certe rappresentazioni come il maggio di Paola da Buti là dove recita: Fra il Sassone ed il bel forte Di Verruca un trebbia trebbia Vi fu un giorno nella nebbia Fra Fiorenza e Pisa a morte. (st. XI)
Anche in questa zona, come del resto era facilmente prevedibile, si è sempre parlato di un tesoro nascosto da Paolo Vitelli, prima della sua fuga dal bastione, perché non cadesse in mano ai Pisani.
Sembra si trattasse della cassa militare e di altri preziosi che i Fiorentini nascosero sotto il bastione precedentemente costruito in sommità del monte che sovrasta il Sasso propriamente detto. La località era nota agli abitanti più anziani di Vicopisano come il Tesoro e il Tesoretto mentre i Butesi ritenevano che tale tesoro fosse sepolto nel vicino Sasseto.
Naturalmente molti hanno cercato questo tesoro e, se anche qualcuno dice di averlo trovato, generalmente, sono venuti alla luce residui di ben altre cose. Mi posi ad escavare all’intorno del cuspide del monte e trovai, difatti, molte cose riguardanti antichissimi armamenti militari, molte punte di freccia … molti pezzi di stoviglie … molte piccole monete d’argento, rame di diverse qualità e due medaglie di coccio cotto … [12]
Ancora oggi gli abitanti del luogo dicono che … … quando ciandàvano a ccaccia della vórpe, ner Sasso délla Dolorósa, e cci si ’nfilava déntro ’ cani, nò?, dale tane der Sasso déla Dolorósa si sentiva a uso de dèn, de dèn, dedè, cóme quésti ·ani toccasséno dell’armature rròba di ·uesto gènere. [13] Per poter arrivare al Sasso della Dolorosa è consigliabile arrivare al P.so Prato a Ceragiola (quadrivio sulla strada che collega Buti con Calci in corrispondenza della diramazione per il Monte Serra, Santallago, ecc.) e svoltare, qui, a sinistra – per chi proviene da Buti – seguendo l’indicazione per il Sacrario Monteserra.
La strada, seppure sterrata, è sufficientemente ampia ma diventa molto dissestata per cui è preferibile proseguire a piedi.
Alcuni volenterosi hanno apposto dei cartelli per segnalare i più significativi punti di riferimento e la loro altitudine quali, nell’ordine, P.so Prato a Giovo, Prato all’Acqua ed infine Sasso della Dolorosa.
Altri, purtroppo, non hanno trovato di meglio da fare e li hanno rimossi o danneggiati.
Qui giunti, dal Sasso, su cui è impiantata una grossa croce di legno (realizzata con due vecchie scale a pioli di quelle in uso presso i contadini di una volta), è possibile godere di un ampio panorama ma per trovare il bastione o ciò che ne resta bisogna inerpicarsi tra i rovi sulla cima sovrastante il complesso roccioso con tutti i rischi che una simile impresa comporta.
Il Sasseto, invece, si trova sotto lo spuntone di roccia che dà il nome al monte ma, anche questo, non è di facile accesso.
Per chi volesse, a questo punto, rinunciare gli si prospetta una alternativa altrettanto interessante cioè quella di proseguire lungo la strada per raggiungere, discendendo il Monte Lombardone, fino alla piana di Badia da cui, risalendo, si arriva fino alla Rocca della Verruca.
[1] Valdiserra E. – MEMORIE DI BUTI, p. 61. [2] Franceschini F. – STORIE DI EROINE PISANE, p. 58. [3] Franceschini F. – Opera citata: p. 60. [4] Franceschini F. – Opera citata: p. 61. [5] Niccolai A. – IL CASTELLO DI VICOPISANO, p. 93. [6] Niccolai A. – Opera citata, p. 93, nota 1. [7] Franceschini F. – Opera citata, p. 6, nota 138. [8] Franceschini F. – Opera citata, p. 62. [9] Franceschini F. – Opera citata, p. 6, nota 136, testimon. 6. [10] Franceschini F. – Opera citata, pag 62. [11] Franceschini F. – Opera citata, pag 63, testimonianza 7. [12] Valdiserra E. – Opera citata, pag. 61. [13] Franceschini F.- Opera citata, pag 63, testimonianza 29.