In natura vi sono diversi tipi di cavità e le loro origini possono dipendere da diversi eventi naturali, esistono cavità di origine magmatica, tettonica, glaciali, oppure date dall’erosione marina od eolica. Nonostante ciò la maggior parte di esse si è formata grazie al “fenomeno carsico” cioè l’azione che l’acqua piovana esercita su delle rocce calcaree. Il calcare è una roccia formata quasi esclusivamente di carbonato di calcio, perciò detta anche roccia carbonatica, che si è formata grazie ad un lento processo di sedimentazione sul fondo di un antico mare per milioni di anni, di piccoli organismi, resti di molluschi e resti di altri microrganismi. Successivamente a tale fase questi depositi si sono consolidati divenendo roccia calcarea la quale più tardi ancora, grazie ai movimenti tettonici della crosta terrestre, in alcuni casi, è stata sollevata e/o spinta fino a formare dei rilievi montuosi. La roccia calcarea è praticamente insolubile nell’acqua, ma è invece sensibile e solubile se l’acqua con cui è bagnata è anche solo leggermente acida; per rendere tale l’acqua, basta che vi sia anidride carbonica (co2), questo avviene facilmente quando piove, perchè cadendo le goccie d’acqua si caricano dell’anidride carbonica presente nell’atmosfera, o anche passando attraverso terreni ricchi di co2. Quindi l’acqua, penetrando nelle fessure che si trovano naturalmente della roccia, svolge un lavoro di dissoluzione del carbonato di calcio che viene trasformato in bicarbonato, e viene sempre più a creare, pian piano in migliaia di anni, una varieta di cavità che vanno dalle scannellature in superficie, a gallerie, pozzi, e caverne in profondità. Dopo che l’acqua ha dissolto la roccia formando delle cavità può succedere che tali cavità entrino in uno stato fossile, non avendo più un flusso di acqua tale da continuare la dissoluzione, ma restando solo con delle trafilature d’acqua capaci solo di cadere goccia a goccia creando uno stillicidio o scorrere lungo le pareti della cavità. A questo punto entra in gioco una reazione chimica: l’acqua arriva attraversando la roccia sovrastante ed è carica di bicarbonato di calcio e co2, venendosi a trovare in un ambiente con una maggiore temperatura ed una pressione inferiore “perde” l’anidride carbonica e quindi può depositare il suo carico di carbonato di calcio sottoforma di calcite, o a volte aragonite. Cosi grazie a questo fenomeno e anche a tantissimo tempo, avremo un lento depositarsi grazie al quale si avranno delle concrezioni, le più tipiche sono stalattiti e stalagmiti, ma la natura non si ferma qua e complici vari fattori come la temperatura, l’umidità, l’inclinazione della roccia, la frequenza di gocciolamento, ecc. contribuiranno a creare colate, drappeggi, spaghetti, colonne, perle di grotta ed altre innumerevoli ineguagliabili bellissime fantasie di forme.
L’esplorazione delle grotte
Si ha notizia di tali esplorazioni a partire dal ‘700 e ‘800 da parte di alcuni naturalisti e studiosi, anche docenti dell’università di Pisa (Antonio Cocchi, Giovanni Targioni Tozzetti, Claudio Fromond, Giovanni Bianchi, per citarne alcuni), in particolar modo concentratisi sulla grotta Buca delle Fate, sul Castellare di San Giuliano Terme, incuriositi a questa dalle credenze popolari, che la volevano, come tra l’altro anche altre grotte dei Monti, di origine vulcanica. Questa “teoria” proveniva dal fatto che in alcune giornate soprattutto invernali, si vedevano fuoriuscirne dei pennacchi di “fumi”, che altro non erano invece che l’umidità contenuta in esse che ne fuoriusciva, data la anche la vicinanza delle Terme. Nella seconda metà dell’ottocento, Antonio D’Achiardi e Carlo Regnoli nella grotta di Parignana e in quella del castello, come Luigi Acconci nella grotta di Cucigliana compirono dei primi scavi archeologici, dai quali ne uscirono svariati reperti paleontologici e paletnologici, che cominciarono a far intuire l’importanza data dall’uomo della preistoria ai Monti Pisani ed alle loro grotte. Alla luce di ciò negli anni seguenti e fino ai giorni nostri sono state svolte attente ricerche in molte cavità, ricerche portate avanti da personaggi come G.D. Cocchi, C.R. Grifoni, A.M. Radmilli, D. Del Campana, E. Tongiorgi. I più importanti reperti sono stati trovati nella grotta del Leone, nella Buca dei Ladri, nella Romita, nella grotta del Castello, nella grotta dell’Inferno, e nello Spacco delle Monete. Dopo di ciò venne il tempo delle prime esplorazioni a carattere esclusivamente speleologiche, iniziate negli anni venti dello scorso secolo, furono intraprese dal Cavaliere Rodolfo Giannotti, fondatore del gruppo speleologico del C.A.I. Pisano, personaggio unico e valente speleologo riconosciuto in tutta Italia, autore di scoperte sulle Alpi Apuane e sui Monti Pisani e vari libri sull’argomento, contribuì alla realizzazione del Catasto unificato delle grotte della Toscana, le conoscenze sulle grotte dei Monti Pisani non sarebbero le stesse senza le sue esplorazioni. A metà degli anni ’90, grazie ai finanziamenti consentiti dalla legge regionale 20/84 sulla speleologia, è stato effettuato, dal gruppo speleologico del C.A.I. di Pisa, il primo studio metodico dei territori carsici sul versante Pisano. In questo progetto, avente come scopo la valorizzazione e la tutela del patrimonio speleologico, è stato fatto il censimento delle cavità gia conosciute e di quelle scoperte man mano che procedevano i lavori, con il risultato di una sessantina fra cavità e grotte. Ognuna di esse è stata “schedata” segnandone il posizionamento topografico, il rilievo interno, quotatura, dimensioni, ed altre caratteristiche quali morfologiche, idrogeologiche, geologiche, ecc.. Oltre al lavoro tecnico ricognitivo, è stata portata avanti una campagna di formazione ed informazione sulla speleologia tramite lezioni teoriche, proiezioni di diapositive, ed uscite lungo itinerari studiati appositamente sui Monti Pisani, diretta ai ragazzi delle scuole medie statali nei comuni interessati al fenomeno, allo scopo di sensibilizzazione verso questi aspetti naturalistici, che fino ad ora sono stati spesso trascurati come hanno dimostrato il ritrovamento di grotte e degli ingressi delle stesse inquinati da materiali vari, come discariche improprie, motivo questo, oltre in alcuni casi per la sicurezza degli escursionisti, a chiudere con recinzioni e cancellate l’ingresso delle medesime.
Le grotte
Svariate sono le grotte, le cavita e gli anfranti dei Monti Pisani, e dal punto di vista geologico, speleologico, e archeologico sono tutte importanti e significative per capire molte cose sul passato dei monti stessi, ma tenuto conto delle dimensioni e delle concrezioni che vi si trovano, solo alcune offrono degli scenari per cui vengono facilmente ed entusiasticamente ricordate, di seguito sono riportate alcune di esse.
Le grotte ed anfranti dei Monti Pisani fungono da base di partenza nello studio, conservazione e tutela della popolazione dei chirotteri, in tal senso vi sono stati fino ad oggi nel tempo diversi interessamenti da parte di associazioni, quali il gruppo speleologico Pisano oppure il Museo di Storia Naturale “La Specola” di Firenze, per appunto monitorare, saperne sempre di più e tutelare queste specie in pericolo d’estinzione, che sono molto importanti per gli ecosistemi e l’ambienti non solo dei Monti pisani.
La Grotta della Spoletta Esplorata per la prima volta nel 1962 dal gruppo speleologico pisano, è la maggiore grotta nei Monti d’oltre Serchio, si apre sul monte Le Grepole ad una altitudine di 130 mt., ha una profondità di 18 metri con una prima parte angusta con passaggi molto stretti per poi allargarsi e formare una sala di media grandezza.
La Grotta del Leone Oggetto di diverse campagne di scavi archeologici a partire dal 1947 fino agli anni settanta, in cui sono stati trovati numerosi reperti, diverse ossa umane, indizi di frequentazioni umane fin dal paleolitico superiore, è situata a poca distanza dalla strada di lungomonte che corre fra Asciano ed Agnano posta quindi ad una bassa altitudine, e a breve distanza dalla buca dei ladri. E’ formata quasi esclusivamente da un ampio salone di crollo, in direzione est scende leggermente fino ad un piccolo laghetto sotterraneo, probabilmente collegato al laghetto nella vicina buca dei ladri. Prende il nome dal grande masso posto al centro di essa, somigliante ad un leone.
La Buca dei Ladri
Situata nelle vicinanze della grotta del Leone, l’ingresso da su un pozzo di quasi 30 metri, si sviluppa poi in un ampio salone per lo più occupato da un lago sotterraneo posto al livello della falda freatica della pianura sottostante. Anche in essa come nella grotta del leone scavi effettuatisi negli anni ’60-’70 hanno permesso il rinvenimento di numerosi reperti risalenti al paleolitico superiore e al neolitico, soprattutto ossa di vari animali (lupi, bovidi, cervidi e addirittura di una marmotta). Negli anni settanta era stata documentata, anche in essa come in diverse altre grotte dei monti, tramite osservazione dei notevoli depositi di guano e da ulteriori indagini dell’epoca, una fra le maggiori colonie di pipistrelli presenti nelle cavità dei Monti Pisani, ora ridotta questa presenza a poche centinaia di esemplari.
La Buca di Castelmaggiore Grande Anche con i suoi soli 33 metri di profondità, possiamo definirla con l’appellativo “abisso”, termine usato di norma per cavità ad andamento verticale e molto più profonde (anche diverse centinaia di metri), per la sua conformazione e cioè di essere principalmente ed essenzialmente un pozzo. Adesso la grotta termina in un pavimento di detriti, ma la sua morfologia suggerisce però che un tempo la profondità fosse maggiore, e poteva far parte di un complesso ipogeo più esteso.
La Buca delle Fate di Cima la Sugheretta
Posta ad un’altitudine di 300 mt nel monte fra Asciano ed Agnano, possiamo definirla la tipica grotta per antonomasia, grazie alla sua grande bocca d’entrata circondata da vegetazione, ed un unico grande salone di crollo (cosi definito perchè formatosi da un crollo della volta sovrastante) e un’alta volta di circa 20 metri. Ovviamente come in altre grotte anche qui è stata osservata la presenza di non molti esemplari di pipistrelli.
La Buca delle Fate di San Giuliano Terme
Con i suoi 185 mt di profondità ed i 500 mt di sviluppo è il complesso ipogeo più esteso dei Monti Pisani. Ha attirato avventurieri, esploratori e studiosi fin dalla metà del ‘700, naturalisti come Antonio Cocchi, Giovanni Targioni Tozzetti e Giovanni Bianchi. Comunemente chiamata al plurale (buche delle fate), nome derivato dal fatto che con un’escursione di superficie si notano 5 aperture differenti (5 le principali, esistono altre aperture nella zona adiacente), in realta si aprono sulla volta di un medesimo salone. Circondata da sempre da numerose credenze e suggestioni popolari (che di certo hanno contribuito ad aumentarne l’attrattiva), soprattutto per la presenza in inverno di nuvole di vapore fuoriuscenti dalle bocche, cosa che sommata alla vicinanza delle sorgenti termali di San Giuliano, in tempi lontani ha lasciato supporre che fossero di origine vulcanica, il che ha facilitato la nascita di varie storie e leggende (fino a quando lo scrivente era ancora piccolo) ovvero sulla loro profondità senza fine, con presenza di gas solforosi velenosi e alte temperature interne, andando ancora più indietro nel tempo, si narravano anche storie di creature che mangiavano uomini ed animali gettandone i resti nel loro interno dal quale uscivano fuoco e fiamme. Giovanni Bianchi in uno scritto, sui bagni di San Giuliano, più o meno del 1757, riporta: …il qual monte al di dentro è tutto scavato per una gran caverna, che in esso si ritrova, la quale ha sette, o otto aperture in varie parti del monte, le varie aperture sono chiamate volgarmente le buche delle fate, avendo questa caverna come una volta di pietra, la quale in molte parti s’è rotta, ed ha fatte quelle aperture, per le quali gettandovi qualche sasso questo rimbomba al di dentro, e risalta in varie maniere, e stenta alcuni secondi prima di fermarsi. Come siasi fatta questa gran caverna in questo monte non è cosi facile a spiegarsi, non essendoci all’intorno alcun vestigio di pietre arsicce, onde si potesse argomentare, che questa caverna fosse stata prodotta da un qualche Volcano, che ivi fosse stato.
Nonostante tutto le prime serie esplorazioni speleologiche sono inziate nel periodo 1926-30 dal gruppo speleo del C.A.I. Pisano senza comunque riuscire a raggiungerne il fondo, cosa che riusci invece al gruppo speleologico Lucchese nel 1960, aprendosi uno stretto passaggio tramite il quale riuscirono a scoprire il bellissimo salone terminale ricco di concrezioni calcaree.
In questa grotta è testimoniata, da uno spesso strato di guano di chirotteri, l’antica presenza di una enorme colonia di questi animali, recenti osservazioni hanno evidenziato che adesso è abitata nella parte centrale solo da una piccola colonia di miniotteri.
La Grotta del Monticello
Nel Novembre del 1928 il Cavalier Rodolfo Giannotti, appassionato di speleologia e fondatore del gruppo speleologico del C.A.I. Pisano, in un giro esplorativo alla ricerca di grotte nei pressi di Asciano, fu condotto da un gruppo di ragazzi in un uliveto presso l’abitazione dei Cortopassi in località “il Monticello”, ove si era venuta a creare, qualche anno prima, una buca. Alcuni mesi dopo, il 24 luglio del 1929, fu intrapresa la prima vera esplorazione, da parte del Giannotti con altri collaboratori del gruppo speleo Pisano, il quale, l’anno successivo in un articolo sulla rivista “Le grotte d’Italia” cosi la descriveva: …sembrano le stanze di un palazzo incantato: pareti finemente tappezzate ed addobbate da lunghi festoni colorati, pavimenti ricoperti da ricchi tappeti e mosaici, porte con pilastri o colonne, lumiere meravigliose appese alle volte, qua e là angoli deliziosi, piccole finestre dalle quali si può ammirare un panorama strano ed eccezionale. Negli anni successivi le sue bellezze attirarono molti visitatori, tanti da suggerirne all’APT dell’epoca uno sfruttamento turistico, che sviluppo insieme al Giannotti un progetto in tal senso, poi lasciato perdere per mancanza di fondi. In seguito a visite vandalistiche che rovinarono in parte il suo prezioso contenuto, fu deciso di murarne l’ingresso. Anni dopo fu riaperta, ed installata una scala per renderne l’accesso più agevole e chiusa con un robusto cancello a tutelarla, tutela ancora oggi svolta sia dal cancello ma ancor più dal fatto di essere in una proprietà privata. La grotta del Monticello racchiudendo al suo interno delle concrezioni calcaree che per quantità che per varietà (stalattiti e stalagmiti, piccole e grandi colonne, stalattiti a ventaglio, eccentriche, aragoniti, colate su pareti, canne d’organo, etc.), a dispetto della sua non notevole estensione, la mettono al primo posto per bellezza fra le grotte dei Monti Pisani, e la fanno competere con altre grotte famose e turisticizzate.
Lo Strinato
Situata nei pressi di Uliveto Terme, a 85 di altitudine, è costituita da un ampio ingresso da cui entra molta luce nel grande salone di crollo, all’interno nei pressi della parete sud, si apre uno stretto passaggio conducente ad un paio di pozzi che con una profondità di oltre 25 mt. arrivano alla parte terminale ove si trovano tre ambienti collegati tra di loro e quasi orizzontali, nei quali si trovano un vasto numero di piccole stalattiti a spaghetto, che danno a questi ambienti il nome di “Sala delle mille Candele”. Questi “spaghetti” insieme ad altre concrezioni fanno dello strinato una delle più belle grotte dei Monti Pisani.
La Buca delle Cave di Uliveto Terme
Localizzata alla sommità dell’inattiva cava di calcare a ridosso dell’abitato di Uliveto terme, con i suoi circa 55 mt. di profondità ed uno sviluppo di 350 mt. è una delle più estese fra le grotte conosciute dei Monti Pisani. Scoperto il suo ingresso nel 1984 durante un’escursione, ha dovuto aspettare il giugno del 1991 per essere esplorata ed ammirata internamente dallo “Speleo Club Talpe” di Pontedera, i cui componenti nell’entusiasmo dell’esplorazione soprannominarono “Vavavuma” anche per il suo andamento non regolare. Oltre al suo sviluppo nel senso dimensionale, deve la sua importanza sia all’aspetto speleogeologico, sia per la presenza di una cospicua colonia di pipistrelli che l’hanno eletta dimora per il letargo invernale.
testi tratti e riadattati dal libro “Le Grotte Del Monte Pisano” di Roberto Marchi
Per maggiori info sull’argomento: Gruppo Speleologico C.A.I. Pisa